Ott 112010
 

 

 

Nell’estate del 1990 iniziammo a bazzicare la zona di Passo delle Pecore, tra Contrario e Grondilice a caccia di possibili ingressi alti di Olivifer. Nonostante i 1215 metri che separano in dislivello l’ingresso di Olivifer dai sifoni più remoti, questo ha infatti funzioni “basse” o comunque intermedie.

Cosa si nasconde sotto questa buca?

La Buca del Muschio

In un solitario giro sotto il limite del bosco m’imbattei nell’ingresso di un breve pozzo, stranamente rimasto ignorato. Nel giro di qualche settimana tornammo a rivedere altri buchi promettenti in zona e a scendere il pozzo nel bosco che chiamammo, senza troppa fantasia, Buco del Muschio, per la copertura di briofite che ne riveste le pareti. L’aria, da sicuro ingresso alto, era forte e dedicammo qualche ora a smuovere pietre sul fondo, senza però individuare sicure prosecuzioni.

Il lavoro di scavo sembrava lungo ed impegnativo, in più c’erano altre grotte da esplorare e di lì a poco sarebbero partite alla grande le esplorazioni in Carcaraia. Fatto sta che la Buca del Muschio rimase uno dei tanti buchi promettenti da rivedere.

Ritorno con il pensiero a quegli anni di intensa attività, adesso, mentre mi accingo a scendere di nuovo in quel pozzetto muschioso. Siamo in sette, in quella che dovrebbe essere la punta “decisiva” per raggiungere il fondo di questo nuovo grande abisso, da poco entrato nella lista dei –1000 italiani. Sono contento di essere stato invitato dagli amici di Lucca. C’è un’aria allegra, spensierata, senza troppa bramosia. Un po’ diversa da quella che caratterizzava le discese a grandi profondità di qualche anno fa.

Ivy mi precede di pochi metri e mi fa da guida. Scendiamo veloci una lunga catena di corde annodate tra loro, ancorate innumerevoli volte alle pareti che alternano strati grigio-azzurri di marmo alle gialle bancate di dolomia. Un gran dispendio di materiali e fix consentono una discesa sicura ed agevole e mi fanno ripensare alle vesciche che ti procurava il piantaspit e che ti spingevano ad armare con parsimonia. Altri tempi, altri modi di armare; che però stimolavano la fantasia e donavano un tocco di eleganza ed originalità, che adesso si è un po’ perso sotto il peso della tecnologia.

In poche ore siamo al campo. Una malmessa e gocciolante frana sospesa, 620 m più in basso dell’ingresso. Per fortuna la volta precedente hanno steso un grande telo verde che intercetta le tante gocce che cadono dal soffitto.

A lato trovo un angolo asciutto per piazzare l’amaca. Poi ci diamo da fare per rendere il posto più idoneo a permettere ad altre 5 persone di dormire sul materassino. Con pietre e sabbia asciutta creiamo una confortevole piazzola, che accoglie degnamente l’arrivo degli altri.

La notte scorre rapida, ritmata dalle gocce che cadono sul telone.

Ivy a Satanachia

Ivy a Satanachia

Una veloce colazione e poi, carichi di materiali, lasciamo il campo. Sceso un altro pozzo, la grotta cambia morfologia, Una forra attiva si sposta in pianta verso NW per poi precipitare in grandi ambienti di frana di quasi 200 m. A -900 ha inizio un meandro con discreta portata d’acqua sul fondo, che intervalla pozzi a tratti orizzontali. Un pozzo battuto dalla cascata ci obbliga a modificare l’armo, fatto la volta precedente con la grotta in secca. Andrea mi cede cavallerescamente il materiale e mi ritrovo, trapano a tracolla, ad inventare un armo fuori dall’acqua. Ci vanno 8 fix per scendere all’asciutto una quarantina di metri, e pensare che sino a poco prima sentenziavo che in media serve un attacco ogni 10 m di corda…

Siamo sul limite raggiunto la volta scorsa: una alta e stretta frattura verticale. Sembra quasi chiudere, ma è solo un’illusione ottica. La grotta curva decisa, lasciando quella che è stata la direttrice principale. Altra curva, breve traverso, di nuovo la forra, un paio di brevi salti. Il pozzo successivo, dall’alto, appare un po’ troppo scuro… Infatti, scopriamo poco dopo, è pieno d’acqua: sifone.

Bello, piccolo in entrata ma ampio e profondo in basso. Gli altri ci raggiungono poco a poco. Il gruppo si ricompatta. L’altimetro sentenzia –1040. Ma il tempo fuori è assai variabile: chissà? Vedremo con il rilievo. Leggo felicità e un po’ di delusione sui volti dei miei compagni: pensavamo di scendere qualcosa di più.

Leonardo a -1040

Leonardo a -1040

A dire il vero mi aspettavo che così dentro la montagna (siamo praticamente sotto la cresta del Grondilice) la quota dei sifoni forse abbastanza alta, ma ormai abbiamo imparato che non si può mai sapere cosa fa l’acqua sottoterra. La grotta punta decisa a NW. Sembra preferire le verdi sorgenti di Equi al Frigido, ma anche su questo sarà bene aspettare il verdetto della colorazione.

Osserviamo la mancanza di fango nei pressi. Cosa strana per un sifone così ben alimentato. Questo farebbe pensare che il percorso subacqueo non sia lungo. Potrebbe essere solo il primo di altri fondi più “fondi”. Mettiamo il naso in qualche cunicolo, ma sembra che quaggiù non ci siano molte possibilità. Cominciamo così a risalire guardando qualche arrivo e pianificando arrampicate per le prossime discese.

Mi godo i passaggi in arrampicata, i contrasti di colore, i giochi d’acqua. Non so, sarà per via della roccia, ma questa grotta mi ricorda Olivifer. Mi tornano in mente le esplorazioni condotte nelle sue più remote zone, prima della scoperta dell’ingresso basso. E’ strano ritrovare quelle sensazioni a vent’anni di distanza. Riprovare la totale sintonia con la grotta, senza pensare alle tante ore che ti separano dall’ingresso, ai mille metri e passa di corde da risalire, alle ossa un po’ indolenzite.

E’ strano e piacevole, quasi inaspettato…

Leonardo

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  One Response to “Vent’anni dopo, a meno mille”

  1. Bello, grazie Leo di questo bel racconto dove ci sei pienamente.

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